Tamburi (Tip), così mobilito le grandi famiglie per investire 500 milioni sul made in Italy più sano
Mettiamoci assieme per diventare più forti, facendo da ponte tra i capitali delle famiglie di industriali e le aziende che hanno bisogno di una spinta per percorrere l’ultimo miglio verso il rilancio e la ripartenza.
Mettiamoci assieme per diventare più forti
Mettiamoci assieme per diventare più forti, facendo da ponte tra i capitali delle famiglie di industriali e le aziende che hanno bisogno di una spinta per percorrere l’ultimo miglio verso il rilancio e la ripartenza. «Investiremo nelle aziende del made in Italy in senso ampio che adesso sono appesantite dai debiti finanziari e vanno irrobustite sul piano patrimoniale, anche in quelle che hanno ricevuto i finanziamenti erogati durante l’emergenza, tra cui quelli con garanzia Sace. Guardiamo a imprese che hanno o potranno avere difficoltà a rimborsare i prestiti ottenuti, visto che non stiamo certo assistendo a una ripresa a V e che il circolante disponibile va usato al meglio. Più in generale in Italia la maggior parte delle aziende è sottocapitalizzata e oggi in una fase complessa, con flussi di cassa che certamente non esploderanno, per cui in molti avranno bisogno di equity per ripartire. La condizione è che abbiano un profilo industriale solido». A parlare è Giovanni Tamburi, il banker milanese che ha disegnato l’architettura di Tip, quella Tamburi Investment Partners diventata una piattaforma di sviluppo per le eccellenze dell’industria: da Moncler, Amplifon e Eataly a Interpump, Sesa e Prysmian, cresciute fino a diventare protagoniste in Piazza Affari. Ora il banchiere delle aziende vuole «mettere a disposizione l’ossigeno per il domani». Lo farà attraverso Itaca, «emblema del ritorno verso una dimora stabile dopo un viaggio che magari ha portato le imprese a fare investimenti o altre operazioni straordinarie — dice Tamburi — ma le ha appesantite dal punto di vista finanziario. È il sogno di un nuovo viaggio».
Itaca è però anche l’acronimo dei tre promotori: Sergio Iasi, Giovanni Tamburi e Angelo Catapano, affiancati da Massimo Lucchini. «Tutti parteciperanno al rischio con capitali personali». L’obiettivo è raccogliere tra 400 e 500 milioni.
Le prime lettere d’invito spedite da Tip ai potenziali investitori sono partite la scorsa settimana. Sono indirizzate a quel serbatoio costituito dalle cento famiglie che nel tempo hanno partecipato all’avventura di Tip attraverso le sue declinazioni. Vale a dire le famiglie Manuli, Branca, Lunelli, il gruppo metallurgico Ferrero, i Giubergia, Francesco Angelini, Claudio Luti della Kartell, Pierluigi Loro Piana e Giovanni Domenichini della Inver group (vernici). Poi gli armatori della D’Amico e Giuseppe Lavazza, Sergio Dompé e Gaetano Marzotto.
Quali sono i tempi?
«Più avanti ci sarà un quadro più chiaro. L’intenzione è di chiudere già a dicembre per tradurre in impegni le manifestazioni di interesse. Ma gli inviti in questo giro sono rivolti solo ai più ‘affezionati’, cioè alle famiglie che hanno partecipato agli investimenti in club, in maniera diretta oppure attraverso i ‘club dei club’ Asset Italia e Tipo. Ma ci sarà anche un secondo round perché abbiamo ricevuto molto interesse. E non solo dal nostro network storico che coinvolge un centinaio di dinastie. Ma anche da altre 37 famiglie che hanno bussato alla porta».
Ci sono anche investitori istituzionali?
«Non sono previsti, anche se abbiamo avuto manifestazioni di interesse da alcuni. Più in generale vorremmo mantenere una raccolta contenuta in prima battuta. Abbiamo già idee su potenziali investimenti, banche e professionisti ci stanno stimolando e i capitali serviranno per partire. È inutile fare grandi provviste subito e poi tenere gli investitori in stand by».
I settori?
«Manifattura, meccanica tech, abbigliamento, lusso e retail, food, industria innovativa e sostenibile. Aziende in mano ad imprenditori o a private equity, che oggi hanno troppi debiti. Oppure realtà che escono da ristrutturazioni bancarie. Però ogni azienda dovrà farci vedere la luce dopo la fase di riassetto che l’ha immobilizzata. Perché cerchiamo sempre eccellenze, anche in fieri. Non guardiamo a npl, utp o operazioni di private debt. Investiremo in quote di minoranza qualificata o di controllo e la spinta potrà venire anche con l’inserimento di management. Sarà un modo per cercare di sbloccare i passaggi generazionali, dato che l’emergenza sta facendo cambiare atteggiamento a molti».
E la squadra?
«E’ fatta da esperti del settore. Iasi è chief restructuring officer di Maccaferri e lo è stato in Trevi, Catapano ha forti competenze gestionali e Lucchini è stato a capo del restructuring in Unicredit. Insomma mettiamo soldi, competenze e responsabilità, visto che i tre partner avranno il 60% della joint venture e Tip ha preso un impegno che, in funzione delle adesioni, sarà tra 50 e 100 milioni. Poi ci saranno gli investitori».
Come funzionerà Itaca?
«Vorremmo che fosse una buona ricetta per fare ripartire le imprese. L’idea è di convogliare i capitali delle famiglie che hanno dimostrato di essere brave con le loro industrie. Itaca sollecita queste realtà a intervenire per sostenere quelle che hanno bisogno di una spinta decisiva per essere di successo domani. Il nostro è un network che ha molta liquidità, frutto del buon andamento delle rispettive aziende e dei guadagni in Borsa, con Tip, ma non solo. Gli imprenditori che hanno investito in Tip hanno avuto un rendimento medio di oltre il 15% l’anno. Più, per alcuni, i forti capital gain sui club deal. Ora secondo me è il momento di investire anche nelle situazioni problematiche».
Insomma c’è un tema di responsabilità verso le altre imprese del Paese.
«Gli imprenditori hanno oggi più che mai il dovere di intervenire e quello di Itaca è un modo per farlo. Dalle telefonate che riceviamo sembra che molti family office siano sensibili al tema. Gli aiuti dello Stato e le garanzie pubbliche sono stati importanti per tamponare l’emergenza. Ma adesso tocca al capitale privato giocare un ruolo, altrimenti le aziende che hanno ricevuto questi sostegni saranno condannate all’immobilismo. O a fare altri debiti. In special modo in una fase in cui anche la spinta dell’export, che ha trainato tante aziende, potrebbe non essere forte subito».
Però alla fine del percorso Itaca dovrà valorizzare l’investimento…
«Dietro Itaca c’è una rete di imprenditori che nelle future partecipate, una volta rilanciate, possono trovare una buona occasione per acquistare aziende della filiera subentrando a Tip. Lo spirito è anche questo, trovare un porto industriale che le faccia crescere ancora. Noi guarderemo anche a imprese che vogliono fare acquisizioni».
Qui prenderete più rischio..
«Sì e questo piace perché si possono immaginare rendimenti interessanti. Ma Itaca funzionerà à la carte, come Asset Italia. Ogni investitore potrà scegliere se partecipare o meno a ogni singolo investimento. Poi ci vorrà un po’ di coraggio, che da noi non manca. Quello di investire e avere visione, come stiamo facendo in Alpitour: pur in un mercato in crisi, tra due anni sarà molto più forte che nell’era pre-Covid. Consideri che le venti società nelle quali Tip oggi è investita hanno comprato 123 aziende»