Un progetto per rilanciare le aziende in difficoltà

Itaca Equity affianca e supporta le imprese italiane che si trovano nella necessità di un riorientamento finanziario, strategico e organizzativo.

La ripresa ripida, unita all’alto costo delle materie
prime sta aumentando in modo sostanziale il fabbisogno di capitale circolante da parte delle aziende

Un progetto concepito per affiancare le imprese che devono affrontare situazioni di difficoltà e aiutarle a risolvere problematiche legate a scelte strategiche e livelli di capitalizzazione, nell’ottica di individuare un nuovo equilibrio patrimoniale e finanziario tramite l’ingresso di un equity partner. È questo il biglietto da visita di Itaca Equity, nato dal connubio tra Tamburi Investment Partners Spa e tre partner di elevato profilo: Sergio
Iasi, Angelo Catapano e Massimo Lucchini.

Dottor Iasi, da dove nasce il progetto Itaca Equity e quali sono i suoi
caratteri distintivi?
Nasce da una duplice opportunità. Una identificata dalla TIP di Giovanni
Tamburi di offrire alla propria platea di investitori e family office la possibilità
di entrare nel segmento dei riposizionamenti e turnaround strategici delle aziende; un ambito diverso da quello che l’ha caratterizzata tradizionalmente, quello dell’investimento nelle minority nelle blue chip. La seconda è stata l’unione di competenze complementari, quella di Massimo Lucchini, di Angelo Catapano e la mia, che ben si integravano in questa esigenza di creare una nuova linea di investimento, ulteriore a quella tradizionale, già molto consolidata. L’origine italiana di tutti i fondi disponibili e investiti credo
sia una prima caratteristica distintiva.
Non siamo inoltre una sgr con un fondo chiuso, bensì una finanziaria d’investimento a tutti gli effetti; questo comporta una vicinanza dei capitali investibili alle aziende target: le decisioni di investimento non vengono prese da comitati di investimento presenti in sedi internazionali, ma in Italia. Un altro elemento di fondo è rappresentato dalla grande flessibilità che abbiamo
scelto di darci nella strutturazione delle offerte: possiamo acquisire partecipazioni di minoranza o di maggioranza, prevalentemente di equity, ma possiamo prendere in considerazioni anche altre soluzioni proprio per prevedere percorsi ad hoc, in funzione delle aziende partner. Una ulteriore caratteristica che citerei è la pazienza dei capitali, dimostrata anche dalla storia degli investimenti di TIP: alcune società, come Prysmian o Interpump, sono in portafoglio da oltre un decennio.

Dal lancio la piattaforma ha raccolto 600 milioni. Quali sono le ragioni alla base di questo successo?
Siamo stati in grado di raggiungere il target in modo molto rapido, a cavallo
dell’ultimo trimestre dello scorso anno. Credo che questo sia stato dovuto a 3
fattori, in parte collegati alle caratteristiche distintive che ho citato: una business proposition che è risultata convincente, la forte credibilità del team,
rappresentato da Gianni Tamburi e da noi equity partner, e il timing corretto,
per un progetto che era stato in cantiere per oltre un anno.

A quali tipologie di investitori si rivolge?

Prevalentemente a family office: è stata una scelta molto ponderata, per assicurare armonia e convergenza di approccio fra i capitali raccolti.

Su quali tipologie di aziende si focalizza l’attività di Itaca? Come vengono selezionate le aziende target?
Abbiamo una griglia di criteri molto stringente. Innanzi tutto guardiamo
aziende con un modello di business solido e replicabile; questo esclude interventi finalizzati al break down delle aziende target per creare il necessario
valore.
Le aziende devono avere una taglia minima superiore ai 100 milioni di fatturato perché al di sotto di questa soglia le aziende che hanno bisogno di turnaround presentano dei profili di rischio di execution troppo elevati rispetto alle dimensioni della stessa azienda. Questo non esclude comunque che si
possano guardare in futuro aziende di dimensioni minori, ma sempre in una
logica di aggregazione. Siamo anche molto flessibili in termini di settori: escludiamo però il real estate puro e i settori altamente regolamentati (banche, assicurazioni, trasporto ed energia elettrica), per una minore prevedibilità degli impatti che gli interventi regolatori potrebbero avere sulla vita delle aziende.

Come si concretizza l’attività operativa di Itaca sulle aziende target?
Dipende molto dal caso concreto. Come detto, possiamo investire in partecipazioni di minoranza o maggioranza, quindi non ci sostituiamo all’imprenditore. Al contrario, la presenza di un modello di business solido implica mediamente anche la presenza di un buon imprenditore o di un management che possa essere adeguatamente valorizzato o sostenuto.
La governance rimane tuttavia molto importante: è necessario essere dotati
di poteri attivi di intervento a supporto del management e degli azionisti per
implementare il piano di azioni individuato.
In questo ambito, portiamo la nostra esperienza in tre aree: razionalizzazione dei processi operativi e dei costi, supporto nelle fasi di rinegoziazione con gli istituti bancari e affiancamento nelle attività di M&A perché i business possano continuare a crescere.

Quanto è importante il ruolo della sostenibilità negli investimenti di Itaca?
È fondamentale. Tanto che negli accordi di investimento è previsto che le nostre iniziative siano ESG compliant. Questo ovviamente esclude numerosi settori come alcolici, armi, tabacco. Inoltre, la nostra intenzione è di supportare le aziende nell’avvio o gestione di percorsi di sostenibilità. Crediamo che questo determini un vantaggio competitivo sostanziale nel lungo termine; si pensi ad esempio al costo del debito, sensibilmente maggiore per le aziende meno performanti in termini di sostenibilità. Anche in fase di quotazione, le aziende più sostenibili possono accedere ad un universo di investitori molto più ampio.

Quali sono secondo lei i trend che stanno interessando il settore degli investimenti, anche a fronte del ciclo economico?
Credo che il mondo del private equity si troverà a dover fronteggiare, soprattutto a partire dalla seconda metà dell’anno, un flusso di potenziali opportunità di investimento molto maggiore rispetto a quello che è stato registrato in precedenza, per due motivi. Il primo è legato al venir meno progressivo delle misure che hanno in qualche modo protetto le aziende dalla forte turbolenza causata dalla pandemia. Il secondo è legato alla curva descritta dalla ripresa, a V in molti settori. La ripresa ripida, unita all’alto costo delle materie prime sta infatti aumentando in modo sostanziale il fabbisogno di capitale circolante da parte delle aziende, in un momento in cui queste devono mettersi necessariamente in condizione di cogliere le opportunità della ripresa. Credo che la combinazione di questi due effetti aumenterà la necessità di equity in grado di supportare le aziende con buoni fondamentali, come unica alternativa valida all’incremento dell’indebitamento finanziario delle aziende.